Breve storia di alpinismo

In previsione di un fine settimana tranquillo decido di darmi all’alpinismo. Chiedo informazioni fra colleghi, conoscenti e sconosciuti che passano per caso nel raggio di 10 metri. Più o meno tutti mi dicono che provare a salire sul Monte Sagro (1753m s.l.m.) dovrebbe essere fattibile per uno poco allenato e inesperto come me e da quel punto si gode di un panorama formidabile.

Non me la bevo la storia della salita facile e la mia settimana di preparazione inizia con la visione dei filmati di tutte le spedizioni su Nanga Parbat, Annapurna e K2. Martedì sera maratona streaming con “Everest”, “Sopravvissuti”, “Cliffhanger”, “Frozen – il regno di ghiaccio”.

Leggo tutto quel che c’è da sapere sulle ultime notizie meteo dell’Himalaya, sulle finestre di bel tempo e mi documento su nodi, corde ed equipaggiamento adatto. Imparo a memoria i sentieri di tutte le Apuane, anche quelli a 50km di distanza dal mio. Non si sa mai che mi faccia prendere la mano e mi venga voglia di una sgambata fuori programma.

Vado alla Decathlon, fermo il commesso nel reparto “alpinismo estremo” e chiedo delucidazioni sui migliori moschettoni e giacche a vento.
“Mi scusi, ma lei dove deve andare?”
Gonfio il petto. “Sul Monte Sagro”.
Mi scruta perplesso. “Guardi, ciabatte e cappellini da sole sono nell’altro corridoio”.
Opto per scarpe basse da trekking, zaino 25 litri e gel energetico. Se rimarrò congelato dentro a un crepaccio sarà solo colpa di questo commesso miscredente.

È il grande giorno. Mi alzo di buon’ora e monto sullo scooter. Ore 10, sono al rifugio CAI di Campocecina (1320m s.l.m.).

Una signora nordica, che per comodità chiamerò Anna Purna, con un bambino al seguito mi passa a fianco. Penso che al massimo faranno pochi metri prima di sdraiarsi nei prati alle pendici della montagna. Non arriveranno certo lassù. Ah! Sprovveduti.

Seguo il sentiero 172 che secondo i miei studi si unirà al 173 e da lì potrò proseguire per la conquista della vetta. Mi addentro nel bosco, iniziamo salire e forse salsicce e fagioli della sera prima non sono state una buona cena di preparazione all’evento.
I nordici di prima li ritrovo seduti sul prato che stanno facendo un pic-nic. Lo sapevo io, ma dove pensavano di andare questi qua? Sghignazzo mentre mi inerpico lungo il 172.

Il bosco si apre e il sentiero si riduce ad un viottolo largo 20cm con uno strapiombo sulla sinistra e una parete di roccia a destra su cui si riflette il sole. Il calore riflesso mi fa optare per togliermi il giubbotto. Per fortuna che non ho portato le ciaspole, sarebbero state poco utili.
Il passo si fa più lento, un po’ per il caldo, un po’ per la pendenza che mi ricorda un momento del video del Nanga Parbat. Questi crepacci li ho già visti da qualche parte. Il famoso sperone Mummery deve essere qualcosa di molto simile.

Anna Purna mi supera in volata passando alla mia destra in equilibrio sulla parete rocciosa. “Mi zcusi”.
Strizzo gli occhi, mi asciugo il sudore e metto a fuoco. Lei si volta indietro.
“Hans! Fieni veloce, qui non è Marmolada. Facile facile. Raus!”
Il bambino sgambetta alla mia destra e fa rotolare qualche sasso giù dal dirupo. “Mi zcusi”. E passa oltre.

Il fiato mi manca. Lo zaino sembra più pesante. Do fondo ai gel energetici che non servono a niente. L’effetto placebo mi sosterrà fino alla cima. Guardo la vetta dalla mia posizione e sembra fottutamente lontana. Ma che idee di merda che vengono a volte la domenica mattina…

La signora Anna Purna saltella lungo il sentiero seguita dal suo piccolo stambecco. Si fermano, prendono grandi respiri e ammirano il panorama. Io vedo solo dei lumicini su sfondo blu, gocce di sudore mi colano lungo la schiena, inciampo su ogni sasso. E considerando che tutto questo sentiero è un enorme immenso sasso gigante, inciampo a ogni sospiro di fiato che non ho più.

Una coppia di anziani armati di bastoncini, scarponi e calzettoni fino alle ginocchia scendono chiacchierando col sorriso sulle labbra. Mi faccio da parte per farli passare, ma loro fanno lo stesso. Pare che la precedenza si dia a chi sale. Io non ce la faccio a salire, insisto per cedere il mio diritto. Loro si scostano ancora di più e sorridono. No, guardate, scendete pure, io devo… tiro fuori il telefono e scatto fotografie a caso. Loro passano oltre.

Si intravede la cima della montagna. La signora Anna Purna e il suo stambecco nano sono già arrivati e stanno pranzando con un alce che hanno cacciato nel frattempo a mani nude.

Manca l’aria a questa altitudine ma ero preparato dal documentario sugli Sherpa. Mi fermo per la decompressione e l’acclimatamento. Riparto dopo qualche minuto di iperventilazione.

Mi aggrappo anche ai fili d’erba, mi trascino lungo l’ultimo strappo e con uno slancio conquisto la vetta.

Il sole che mi ha tormentato lungo la parete rocciosa sembra scomparso. Mi guardo intorno alla ricerca del panorama tanto decantato da colleghi e conoscenti.

Scatto una foto per i posteri, ne è valsa la pena.

Oh, che figata la montagna.

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