Quando visiti un nuovo sito web

Ho visto internet nascere e crescere, siti passare da singole pagine fatte con FrontPage a robe complicatissime con luci, effetti e cose sbrilluccicose. C’era chi voleva vendere online e veniva deriso, ora c’è chi apre un negozio in centro e chiude dopo due mesi.

Internet è in breve tempo diventato fonte di dati sugli utenti, tutte è diventato tracciabile, un po’ come se entrando in un negozio di mutande, la commessa sapesse all’istante dove abiti, che lavoro fai, cosa mangi e dove vai in vacanza. E solo dopo ti chiedesse di che taglia porti le mutande.

Poi è arrivata la privacy, una moda inventata da qualche disoccupato che aveva bisogno di crearsi un lavoro e ha dato vita ai “consulenti per la privacy”, al “garante per la privacy” e ad altre figure aziendali inutili.
Una sorta di tassa mascherata.
Come i clown. Solo che i clown sono gratis agli angoli di strada.

Dilettanteschi tentativi di privacy e professionali risultati pubblicitari, questo è l’internet di oggi.

Entrare in un sito web ai tempi della moda della privacy e delle pubblicità può rivelarsi un viaggio in una foresta intricata, mentre quando andava di moda vivere senza ansia, si entrava in un sito web e si cominciava a leggere quel che si voleva. Solo che le connessioni erano lentissime e quindi… niente, si stava lì ad aspettare e a sperare che la bolletta del telefono non raggiungesse cifre assurde.

Piano piano si caricano le immagini.

O si mette un adblock per bloccare le immagini in cui sono nascoste robe strane che tracciano, spiano, filtrano, impastano e mescolano; oppure si lascia tutto com’è e allora nel primo caso non vediamo niente, mentre nel secondo la pagina che prima aveva le dimensioni di “una pagina”, diventa un’infinita sequenza di immagini, fumetti, gif, lampadine, ricchi premi e cotillon; si allarga e finisce fuori dallo schermo in un senso e nell’altro, ci si ritrova spersi in una mappa neanche fosse il Continente Orientale e noi fossimo nel deserto della Desolazione Rossa (sì, ho letto Il Trono di Spade, è scritto un po’ di merda ma non così male, via).

È il momento dei cookie.

I nostri zelanti garanti per la privacy, italiani ed europei, hanno voluto mostrarci di valere qualcosa di più del sussidio per la disoccupazione e hanno pensato che la gestione dei cookie dovesse ricadere sul proprietario del sito, anziché sul visitatore.

Un po’ come se io entrassi in un negozio e dovessi chiedere a ogni visitatore se vuole l’aria condizionata o no, anziché dire loro di mettersi una sciarpa se hanno freddo.

Il banner con l’informativa sui pericolosissimi cookie si apre, una volta su, una volta giù, a volte di fianco e a volte blocca tutto lo schermo.

Lo chiudi e respiri. Finalmente potrò vedere il sito che voglio visitare?

Il sito vuole mostrarti le notifiche. Posso?
No che non puoi, come ti viene in mente di farmi comparire degli avvisi mentre sto leggendo? No, non voglio, lasciami in pace. Sei come gli ambulanti al mare che vengono a rompere le palle mentre sto soffocando per il caldo.

Chiudi anche la finestrella delle notifiche e ti metti comodo per leggere quello che volevi leggere.

Nel frattempo qualche immagine si è caricata e ha spostato tutto il contenuto più in basso, o più in alto e più “da qualche altra parte”. Quando leggo un libro, al massimo mi può scivolare di mano, ma di certo non se ne va in giro per il mondo e non c’è bisogno di rincorrerlo.

Il sito ora vuole sapere dove mi trovo e mi chiede il consenso per conoscere la mia posizione.

Scusa, sito, ma cosa te ne fai della mia posizione? Non voglio incontrarti, non voglio che tu venga dove sono io, stiamo lontani, io qui dietro lo schermo e tu in qualche server di qualche paradiso fiscale in cui il provider ha aperto la sede.

Allora, una bella newsletter?

No. Basta. Non ti darò la mia email perché solo uno stupido darebbe la sua email per ricevere della pubblicità, soprattutto se me la chiedi in questo modo invadente. Chiudo anche questa finestra e controllo che non siano comparse immagini che hanno spostato il testo da qualche parte in giro per il monitor.

Una musica invade la stanza, non capisco da dove stia uscendo, forse è ricominciata la storia delle canzoni dal balcone per fingere una pseudo unità nazionale?

Sul balcone per fortuna non c’è nessuno, io non ho acceso musica eppure sembra provenire dal mio computer. Abbasso il volume. Era proprio lui.

Un video con tanto di musica è partito da solo mentre io chiudevo finestre. Come in quella pubblicità in cui il tizio tappa una perdita d’acqua e se ne aprono altre due.

Tutto ora sembra calmo, mi guardo intorno alla ricerca di pop up, finestrelle e video. Non c’è più niente, ho sconfitto il nemico.

Non mi ricordo più cosa dovevo leggere, la pagina è piena di altri articoli “potrebbe anche interessarti…”

Solo che non mi ricordo più cosa mi interessava prima, adesso voglio solo andarmene e quindi clicco sulla prima pubblicità che mi capita a tiro e corro a comprare dei deliziosi cuscini zebrati per il mio divano.

Pubblicitari e garanti della privacy, fra invadenza e maldestri tentativi di protezione, fra furti di dati e consensi anche per pisciare, avete reso internet peggio del mondo reale.

Vi odio.