Il mal di schiena dei Duran Duran

Dopo una cena in cui il vino, un ottimo Chianti Piccini 2018 del supermercato, ha dominato in lungo e in largo lasciando cadaveri sul tavolo, mi ritrovo la mattina dopo con il biglietto del concerto dei Duran Duran. Lo fanno a pochi chilometri da casa mia e probabilmente la sera precedente ci sembrava una buona idea.

I biglietti sono due, l’altro è dell’Archeologa, compagna di bevuta della serata e probabilmente l’idea è partita da lei.
La chiamo.

Risponde. “Buongiorno”.
“Oh”
“Mh”
“Ma abbiamo preso i biglietti?”
“Eh sì”
“Siamo sicuri?”
“Ormai…”
“Vabbè”

Nel frattempo convinco altra gente a partecipare e per questo Simon dovrà darmi una provvigione. Domani lo chiamo.

Ci ritroviamo nel parco in cui si terrà il concerto.
Ci sono gli Easy Life. Gruppo sconosciuto che probabilmente tale resterà perché dopo due “canzoni” (già definirle canzoni è esagerato) hanno già esaurito tutta la loro fantasia.

La patetica esibizione continua e forse è l’occasione per mangiare e bere qualcosa.

Mi scontro per la prima volta con il bizzarro sistema dei token. Qui non si usano soldi. Qui si comprano i gettoni e si compra da mangiare con i gettoni. Non c’è nessuna utilità se non quella di complicare le cose e obbligarti a spendere sempre minimo 10 euro (5 gettoni) anche se vuoi una bottiglia di acqua (1 gettone).

Che se li tengano i token.

Proviamo a uscire dal concerto, biglietti alla mano.

“Non si può uscire” mi informa una zelante addetta all’ingresso.
“Perché no?”
“Perché il biglietto è stato annullato, viene smarcato e non vale più per rientrare”
Indico il palco. “Quindi siamo costretti a sentire questa roba?”
Ride. Non c’è niente da ridere. “Purtroppo se uscite poi non potete rientrare”

Ci adattiamo a questo sequestro di persona, perfettamente evitabile se gli addetti all’ingresso facessero il loro lavoro, ovvero se controllassero biglietto e documento, visto che i biglietti sono nominativi proprio per evitare che io li passi a qualcuno fuori dal concerto dopo che sono entrato io.

I token comunque se li tengano pure, arrivo tranquillamente fino a domani, sono ben nutrito.

Prima dei Duran Duran suonano i Bluvertigo, gruppo che avrei sempre voluto vedere ma purtroppo assisto alla loro esibizione con 20 anni di ritardo, per cui sul palco un signore invecchiato male si agita, resta senza fiato e non riesce mai a raggiungere il microfono in tempo per l’attacco della canzone. Magari 20 anni fa era più veloce.

Dovrebbe fare come certi calciatori che, giunti a fine carriera, si piazzano in una zona del campo e non si schiodano da lì, gestiscono la posizione, il pallone con la loro esperienza. Non si mettono a fare avanti e indietro perché gli avversari sono ventenni che si fanno crioterapia anche dopo aver scoreggiato e non potrebbero reggerne il ritmo. E la musica corre sempre, corre più di un ventenne sotto anabolizzanti, da secoli.

La sofferta esibizione termina e il tastierista in versione badante riaccompagna il cantante nella sua stanza.

Arrivano i Duran Duran che tra fuochi artificiali finti sullo schermo (mica sono i Kiss) e urla di attempate signore mostrano ai tizi di prima come si invecchia bene. Simon è un signore paffuto che conosce i suoi limiti e sa di non poter andare oltre all’ancheggiamento. Ci mette tutta la tecnica che ha e tira fuori un vocione che non sgarra di un millimetro.

Il bassista ha un fisico da keniota che fa le maratone ma probabilmente non ne ha il fiato e se ne sta in un angolino. Il chitarrista è un bestione palestrato e il batterista un signore distinto senza espressione che segue lo spartito.
Quello alle tastiere sorride sempre. Beato lui.

Il concerto termina nel delirio delle 50enni e appena la musica si placa, la frase che sento ripetuta più volte è “che mal di schiena”.
Qualcuno giustifica col fatto che il terreno fosse sabbioso e, beh, sai, magari la postura è scomoda.
Una coppia si siede per terra e fa stretching, l’Archeologa si accascia a terra dolorante e in pochi minuti il pubblico dei Duran Duran si trasforma in uno scenario apocalittico di gente che rantola e si tiene la schiena.
Ah, ok, allora non sono l’unico.

Cammino fra i cadaveri, i timpani tremolano e non mi fanno sentire niente, sono isolato dal resto del mondo, c’è poca luce e temo di aver schiacciato la testa a una signora che strisciava per raggiungere l’uscita. Beh, magari ora le fa male la testa e non sente più il dolore alla schiena.

Seguo la folla rantolante verso l’uscita, mi giro e lascio dietro i compagni di concerto.

L’Archeologa si rialza e ci allontaniamo, cerco di rincuorarla sul fatto che ormai non potrà più sposare Simon Le Bon perché lui riesce a stare in piedi due ore e lei non può reggere.

Questi concerti con età media sopra i 40 dovrebbero essere fatti nei teatri, su poltroncine di velluto, morbide, con l’aria condizionata, non si può mettere questo pubblico in piedi sulla sabbia per 2 ore.

La compagnia si ricompone senza dispersi, dopo un Brufen stiamo tutti bene, senza dolori e possiamo tornare a casa.

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