Il dentista

Un nuovo episodio della saga “Babbomerda”.

La pargola finisce di svuotarmi la dispensa e si presenta con aria preoccupata e la bocca aperta in salotto, forse vuole mangiare anche me.
“Ahhhgh ghhgaa ghghaaaa ente”

Parla con la bocca aperta e lo sguardo verso l’alto mentre indica i denti superiori. Forse ha dato un morso al tavolo e le si è impiantata una scheggia fra due denti.

Mi avvicino per esaminare il problema. Per fortuna non ha fatto del male al tavolo né ha ucciso qualcuno per sgranocchiare le sue ossa, sembra solo che un filamento di pesca si sia incastrato fra due molari.

Un padre normale prenderebbe un filo interdentale e risolverebbe la questione in trenta secondi.
Ecco.
Invece io devo trovare argomenti su cui scrivere qualcosa e l’occasione è troppo ghiotta per farsela scappare.

Faccio l’espressione seria, quella del chirurgo che si prepara a operare. “Aspettami qui, vediamo cosa si può fare… ma non sarà facile.”

Esco dal ripostiglio con la cassetta degli attrezzi e, ovviamente ben nascosto, un astuccio con filo interdentale e scovolini.

Sparo la torcia nella bocca della bambina che obbediente la tiene spalancata in attesa del responso del “dottore”. Perché io burocraticamente sono davvero “dottore”, certo, in informatica, ma lei mi chiama dottore senza avermi mai chiesto in cosa io lo sia.

Lo scoprirà quando sarà ormai troppo tardi.

Con uno stuzzicadenti do dei colpetti a qualche dente a caso, rovisto nella cassetta degli attrezzi facendo più rumore metallico possibile.
“Mi farà male?”
“No, no, ho imparato dal tuo dentista, al massimo un pizzico”.
E così con questa frase mi sono assicurato che la pargola da adesso riporrà la massima fiducia nel nostro dentista, oltre che nella mia figura di dottore.

Effettivamente fra due denti di cui ignoro il nome intravedo un filamento giallino rimasto incastrato.
Sospiro preoccupato. “Ehhh, c’è una roba qui fra due paleari”.
“Cosa sono i paleari?”
“Due denti che stanno fra i pratali e palmipedoni”.

Prendo un cacciavite, spolvero la punta, gli occhi della bambina si aprono sbarrati. Ripongo il cacciavite e prendo uno stuzzicadenti con il quale colpisco un dente. “Ecco, ti fa male il palmipedone?”
“Eh sì. Un po’”.
“Mmmm, immaginavo”.

Srotolo mezzo metro di filo interdentale e lo muovo fra due denti ben lontani dal filamento di pesca.
“Senti il filo che si muove?”
“Sì”.
“Mmmm, vediamo cosa si può fare”.

Faccio ancora un po’ di rumore dentro la cassetta degli attrezzi, tiro fuori l’astuccio con gli scovolini, ne estraggo uno e lo guardo contro luce. “Sì, forse questo potrebbe andare”.
Con un movimento rapido lo scovolino si infila fra due denti, forse palmipedoni, forse paleari e rimuove il filamento di frutta.

Mostro il risultato della mia operazione che ancora giace sulla punta dello scovolino.
“Ecco qua, tolto”.

La pargola ammira la mia opera, si massaggia la guancia. “Non ho sentito niente, hai fatto presto”.

Ripongo l’attrezzatura nella cassetta, faccio ancora un po’ di rumore metallico che mi piace tanto, mi alzo in piedi e scruto l’orizzonte. Alzo un pugno davanti al viso.
“Questa mano può esse fero e può esse piuma, oggi è stata piuma”.

“Non ho capito”.
“Lascia stare, capirai. Un giorno”.

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