Il danno

Assonnato come al solito termino l’uso del lavandino di una domenica mattina in cui il vino della sera prima se ne sta ancora buono buono senza riproporsi come fa di solito. Tiro la levetta per far salire il tappo del lavandino ma questo non si muove. Tiro ancora. Tiro ancora un volta un po’ più forte.

Niente.

Tiro ancora, questa volta decisamente forte. Strappo la levetta e il lavandino resta tappato. Per sempre. Non potrò mai più far scorrere l’acqua e già mi vedo a piazzare secchi per la raccolta e svuotarli periodicamente. Nel lavandino cresceranno forme di vita aliene, muschio, alghe, rane, il mio bagno si trasformerà in una palude, in una giungla amazzonica e io morirò divorato nella notte dagli alligatori delle fogne di New York che, una volta appresa la notizia dello stato del mio lavandino, saranno tutti venuti qui per approfittarne.

La lucidità si palesa nei panni di una pinza. Con essa riesco a svitare lo scarico e reinserire la levetta al suo posto. Il lavandino si svuota, io guardo dalla finestra per fare gestacci a eventuali coccodrilli delle fogne di New York che dovessero presentarsi. Non avrete mai il mio bagno! Ah ah ah!

Purtroppo l’operazione allo scarico ha lasciato degli strascichi e la levetta non funziona più come prima. Lo sapevo che avrei dovuto fare l’idraulico, prima o poi mi sarebbe servito. Azionando la levetta, a volte questa tira su il tappo, a volte no. Bisogna tirarla inclinandola leggermente, qualcosa all’interno del complicatissimo meccanismo che regola lo scarico deve essersi storto.

Con un po’ di attenzione, resisterà ancora altri dieci anni prima che io debba chiamare un idraulico vero.

Quell’essere che ogni giorno assomiglia sempre più a un cinghiale e che dicono essere mia figlia, con la sua proverbiale delicatezza entra nel bagno, sbatte qualcosa, cade, si rialza, rovista e colpisce qualcos’altro. L’acqua scorre. Poi silenzio. Cinque lunghissimi minuti di silenzio.

Lei ricompare davanti a me, sguardo basso, una mezza lacrima. “Si è rotto qualcosa.”
Fingo di non sapere cosa si è rotto e balzo in piedi. “Cosa è successo!?”
“Prometti che non ti arrabbi?”
Mi sforzo di fare l’espressione arrabbiata. “Non mi arrabbio.”
“L’acqua non scende più”.

Andiamo in bagno a controllare lo stato del lavandino. Lei muove la levetta che naturalmente non funziona come previsto. La muovo anch’io fingendo di non capire quale sia il problema e riporto alla mente tutte le volte in cui ho visto un idraulico all’opera: fare sembrare tutto difficile è la prima regola del buon idraulico.

“Come hai fatto a romperlo?”
Singhiozza, “non lo so… ho tirato la levetta ma non ha funzionato.”
“Ehhh è un casino qui. Ora resta l’acqua nel lavandino.”
“Non va più giù?”
“Eh, no. Qua diventa una palude.”
“Cosa possiamo fare?”
“Devi aiutarmi, forse possiamo fare qualcosa. Va bene?”
“Si asciuga le lacrime e raddrizza la schiena. Ti aiuto io!”
“Prendimi la pinza rossa. E prendi anche la pinza gialla, un cacciavite, uno straccio, il trapano, due stuzzicadenti e un bicchiere di vino.”
“A cosa serve il vino?”
La rimprovero con lo sguardo “vuoi risolvere il problema o no?”
“Sì sì, vado subito.”

Fa quattro viaggi con gli attrezzi e torna col bicchiere di vino. Un Teroldego Rotaliano 2016 davvero eccezionale. Bevo e mi metto all’opera.

Sono minuti di trepidante attesa per lei, minuti di inconcludente avvita-svita-gira-stringi-gratta per me.

La guardo, è in piedi dietro di me che cerca di carpire i segreti dell’idraulica. Speriamo non impari da me. La rassicuro un po’, “ci siamo quasi, solo che ora bisogna essere molto molto delicati.”

Inclino la levetta e tiro su il tappo. L’acqua defluisce e con lei tutte le preoccupazioni della pargola.
“Bravo, ce l’hai fatta!”

Soffio sul cacciavite come se fosse la mia Colt che ha appena vinto un duello davanti al saloon. “Questa volta è andata bene, ma fai attenzione. Meglio se non giochi con l’acqua e non fai nuotare le bambole nel lavandino, ok?”
“Sì sì, va bene. Non lo faccio più.”
“Bene.”
“Non… non ti sei arrabbiato?”
“Un po’ sì, però è tutto a posto. Sono incedenti che capitano. Fai una cosa per sdebitarti, ok?”
“Sì sì, certo. Altro vino?”
“No… non esageriamo, sono le dieci del mattino…” Comincio a preoccuparmi della considerazione che ha di me in fatto di alcolismo.
“E allora cosa?”
“Metti in ordine la camera.”

Non faccio in tempo a finire la frase che lei è già all’opera e sta spostando tutti i pupazzi da terra per metterli dentro il cesto dei giocattoli.

E anche questa volta il mio dovere è stato fatto. Posso godermi un meritato riposo. L’idraulico lo chiamerò fra dieci anni.

Per altri consigli sui sani principi della puericultura, contattatemi pure.

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