Idiocracy, la guida per gli Stati Uniti

Per un problema di un collega mi tocca andare a Las Vegas a sostituirlo. E che sarà mai andare negli Stati Uniti, in 6/7 ore ci sei, no?

E invece no perché non ci si pensa mai che Las Vegas è dall’altra parte del continente e che per arrivarci ci vogliono 11 ore più cambi di aereo. Perché naturalmente un diretto dall’Europa per Las Vegas ci sarebbe anche, se non fosse che stavolta si è mosso “a sorpresa” quel coglione ucraino che sta cercando di rovinarci in tutti i modi e la British ha cancellato un sacco di voli utili a chi non c’entra niente.

Quindi dopo un viaggio della speranza con le due peggiori compagnie aeree del mondo (ITA e Delta) su aerei che cascano a pezzi, con i sedili che non vanno indietro, il poggiapiedi che non esce, i braccioli che restano a metà e le tasche che si strappano appena ci metti dentro un libro, arrivo a Las Vegas nell’albergo che l’agenzia ci ha prenotato: il Luxor.

Il Luxor è una piramide. Davvero. Pure l’ascensore si deve muovere in diagonale per arrivare a tutti i piani.

Ma il Luxor, e tutti gli altri alberghi della zona, in realtà sono dei casinò in cui non ci sono finestre e ci si trova di fronte una distesa infinita di quelle macchinette che da noi sono occupate solo da drogati, ludopatici e disagiati vari.

Ecco, Las Vegas si presenta subito come lo zoo del disagiato.

Un pacchiano zoo fatto di luci, obelischi nel centro dell’hotel, castelli in stile Gardaland chiamati invece “hotel Excalibur”, moquette sporca, gelati e coca cola.

Bancone dello Starbucks, spero di riuscire a prendermi almeno uno di quei caffè giganti che ogni tanto non disdegno nemmeno a casa, 6 metri di bancone, 7 persone a servire, a calpestarsi, scontrarsi, perdere bicchieri e ordinazioni. Uno alla cassa che nemmeno sa contare i soldi. Fila di 30 metri con gente in attesa che nel frattempo sta mangiando altro.

In Italia un “bar” così lo mandano avanti in 3 e non fanno nemmeno la fila.

Veloce passaggio a New York evitando spazzatura, barboni e cercando di non farsi investire dalla polizia che suona le sirene a caso, tanto per giocare come i bambini quando dai loro una trombetta in mano.

In aeroporto inizia la fila per i controlli prima dell’imbarco. La fila inizia, non si sa dove va né dove finisce, in 3 si mettono a stendere un nastro per indirizzarla, col risultato di farla accartocciare su se stessa e farci fare lo stesso giro due volte. Alcuni saltano la fila perché un poliziotto dice che “economy plus può passare di qui”. Allora mi faccio avanti perché anch’io ho “economy plus” e gli “economy plus” hanno il passaggio prioritario, ma un altro poliziotto mi dice che non è vero.

Siccome qui non sono in grado di ragionare, usano lo scanner e trovano sempre qualcosa. La mia scansione segnala dei punti rossi. Ho del pericolosissimo metallo addosso. Spiego che sono bottoni. Niente, il tizio vuole controllare. Non sembra convinto nemmeno quando gli mostro la chiusura dei pantaloni e gli chiedo se secondo lui ho il cazzo di ferro oppure se riesce a capire che quelli sono davvero dei bottoni.

Piano piano ci arriva e mi fa proseguire.

Una ragazza fa lo stesso col reggiseno. Quel gancetto dietro la schiena deve essere davvero pericoloso da portare su un aereo. Certo.

In conclusione, dopo una settimana in cui non sono riuscito a trovare del cibo che non fosse dolce, fritto e pieno di salse (una banana 5 euro), lascio questo paese orrendo, questo paese di incompetenti, inetti, disorganizzati e ignoranti. Perfetta rappresentazione della decadenza occidentale.
Las Vegas un ridicolo covo di pacchiani ludopatici e puttanieri. New York nel degrado peggio di Roma. Totale incapacità di risolvere anche il minimo problema.
Una bolla economica sorretta dall’ oppressione delle altre economie e dalla creazione di guerre, altrimenti non si spiega come possano sorreggersi su una base intellettualmente così di scarso livello.

Tanti saluti USA, avete un luminoso futuro davanti perché “finché c’è guerra c’è speranza”.

1 commento su “Idiocracy, la guida per gli Stati Uniti”

  1. Uno dei migliori post alla “Frediani”, non c’è che dire. Me lo sono goduto, parola dopo parola, virgola dopo virgola. La migliore narrativa, Frediani come un Stefano Benni (“Bar dello Sport) del terzo millennio. Umilmente suggerirei (ed egoisticamente desidero) un romanzo sull’argomento, sulla falsa riga del capolavoro “bianco fuori, giallo dentro”

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