Quel ramo del lago di Como

Giunto nei pressi di Como per partecipare a una premiazione in cui c’era Enrico Beruschi, colgo l’occasione per passare una giornata sul lago e costringere Rosario (LINK) a una reunion in nome dei bei tempi.
Reunion di una union che non c’è mai stata perché ci siamo visti per la prima e unica volta 3 anni fa.

Questo non è Rosario, è Enrico.

Bellagio è il luogo prescelto per la sosta e Varenna, sulla sponda opposta, il luogo dell’incontro. La scelta di Bellagio è stata presa dopo attenta riflessione, considerando diversi parametri e algoritmi da me ideati. In poche parole, è l’unico albergo che ha risposto alle mie email.

Dalle parti di Monza ci accoglie il tipico clima estivo di Monza, il cielo è tipicamente grigio e le zanzare tipicamente impegnate in scorribande a bordo di chopper post apocalittici.

Le zanzare a Monza sono così

Giunti sulla Como-Chiasso ci accoglie il tipico clima delle Svalbard quando il tempo fa schifo.

Le previsioni del tempo infatti davano pioggia ma tanto le previsioni del tempo non ci prendono mai e che saranno due gocce di pioggia?
E invece ci hanno preso.

Comincia a piovere.

A Bellagio bisogna prendere un traghetto e attraversare il lago. Sono minuti di attenta analisi meteo per trovare il momento migliore per lasciare l’auto nell’unico parcheggio gratuito e farsi 600 metri a piedi senza infradiciarsi.

La pioggia si ferma, parcheggio e corro verso il molo. Arrivo fradicio e con l’ombrello rigirato per il vento.

Il capitano della nave è già a poppa con le mani sui fianchi, impettito, che si liscia la barba mentre il vento e la pioggia lo colpiscono di traverso, ma lui è un lupo di mare e se ne frega. È pure un lupo di mare che sta sul lago e quindi se ne frega anche dell’acqua su cui fa il lupo. A lui basta essere lupo, sarebbe pure lupo di terra se solo il suo galeone avesse le ruote.

Affrontiamo le impervie acque del lago di Como e giungiamo a Varenna dove Rosario e signora ci aspettano asciutti. Appena mettiamo piede a Varenna inizia a piovere e quindi incontriamo Rosario e signora fradici.

Pranziamo in un ristorante con vista lago, ma senza vedere il lago avvolto da una foschia grigia. La cameriera ci fa notare che con questo tempo i traghetti non partono. Ma cosa vuoi che ne sappia la cameriera, mica è una lupa di mare o di lago come il nostro impavido capitano!

Il pranzo finisce presto, intorno alle 5, neanche fosse un matrimonio, ed è già ora di un aperitivo vista lago, solo che il lago adesso è avvolto da una nuvola nera, piove in orizzontale, le onde ribaltano le barche attraccate e io mi chiedo dove vanno le papere quando c’è questo tempo.

La cameriera di quest’altro locale alza lo sguardo verso la nube nera, il vento le strappa un bicchiere dalle mani e ci chiede “sapete come si chiama questo vento tipico del lago di Como?”

Rispondo “Naufragio a Bellagio?”

“Ah ah, no, tanto i traghetti mica partono in queste condizioni.”

Il tetto del gazebo in plexiglass traballa e sembra doversi staccare da un momento all’altro. Quando un mucca della Valtellina vola a qualche metro da noi, mi viene spontaneo chiedermi dove vanno le papere del lago con questo tempo, visto che nemmeno le mucche sembrano aver trovato un riparo.

Rosario è in tenuta da impiegato, camicia e giacca, un impiegato di quelli che stanno in ufficio col riscaldamento acceso. Batte i denti per il freddo, è pallido e nega strenuamente di avere freddo. (da quanto tempo sognavo di dire “strenuamente”)

Forse è meglio se lasciamo che Rosario torni a casa, noi avremo il tempo per goderci una passeggiata lungo lago.

Le onde rendono la passerella impraticabile, un ramo penzola a pochi centimetri dalle nostre teste. In acqua non si vedono traghetti. Chissà dove sono? Le papere, intendo.

L’ombrello si ribalta tre volte e siccome era già ribaltato da prima, alla fine me lo ritrovo nel verso giusto. Quale grande metafora mi suggerisce questo fatto. Ora non mi viene, ma qualche metafora vorrà pur suggerirmi.

Andiamo verso il molo fiduciosi che il nostro impavido capitano ci riporterà a casa. Sanno una sega le cameriere.

Al molo la comandante di vascello ci avvisa che i traghetti sono sospesi. Ma come? Il capitano impavido non se la sente? Le cameriere sapevano tutto? Che le cameriere facciano in realtà parte di un complotto massonico che tiene segreti i segreti del lago?

Immagino il nostro capitano che lotta col timone per tenere il galeone sulla rotta e venirci a prendere. Sta sul ponte di comando e l’acqua di traverso lo colpisce, il vento lo sferza in volto, ma lui indica l’orizzonte ai suoi marinai e li incita ad andare avanti.
La comandante di vascello, nonché bigliettaia, sembra aver capito cosa sto pensando e mi richiama all’ordine. “Se continua così, per il traghetto se ne parla domani mattina.”
Maledette cameriere.

Trovo un taxi al modico prezzo di 130 euro, ma dopo una comunicazione via radio, il tassista nel suo tipico accento comasco mi informa desolato che c’è una frana per cui Bellagio è raggiungibile solo via traghetto e che il vento peggiorerà “di brutto brutto brutto nè”.

 

Quando ormai tutte le speranze stanno per svanire e mi accingo a prenotare una camera nel primo albergo che trovo, un fischio alle mie spalle mi fa voltare verso l’acqua del lago. Nella nebbia una timida luce compare all’orizzonte. A prua il mio capitano tiene la sua sciabola puntata verso il cielo e incita la ciurma a spingere i motori al massimo. Il mio capitano sta venendo a salvarci.

La pioggia lo colpisce da tutte le direzioni e il vento lo costringe ad aggrapparsi alla balaustra. La comandante di vascello, da terra, gli fa cenno di abbassare la sciabola perché se arriva un fulmine, poi chi lo guida il galeone? O almeno così ho interpretato quei cenni all’attracco.

Partiamo alla volta di Bellagio. Il galeone solca l’oceano di Como, affronta impavido le acque tumultuose mentre il capitano irride il dio Nettuno parlando col suo vice di “tridente, ali e punte”. Ben gli sta a questo dio che non sa ancora con chi ha a che fare.

I marinai del porto di Bellagio ci lanciano le cime per l’attracco e abbassano il ponte levatoio. Appena il ponte tocca la nostra nave, la pioggia cessa e il vento si placa. Ah! Nettuno, ci hai provato, ma il mio capitano mica si chiama Ulisse, il mio capitano non lo so come si chiama, ma di certo non Ulisse.

Posso incamminarmi verso un caldo e asciutto albergo.
Intanto il galeone spegne i motori e il capitano scende per ultimo, da buon capitano.

Sono certo che ti faranno Commodoro, mio eroe!

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