Interstellar, la recensione onesta

Credo di non avere virus di alcuna sorta, ma comunque mi è stato imposto tramite l’uso della forza di stare a casa in via precauzionale e quindi, da cittadino ligio al dovere di essere un cittadino nato per caso all’interno di un disegnino su una mappa, rispetto le direttive di un tizio che in qualche modo detta legge su tutti gli altri tizi nati per caso all’interno di un disegnino su una mappa.

La chiamano “nazione”, io la chiamo “essere nati per puro caso all’interno di un disegnino su una mappa”. Questa è la legge, al di là di bandierine e proclami di altri imbecilli nati per puro caso all’interno dello stesso disegno su una mappa e che si lamentano della legge.

Approfitto del tempo in cui sono dispensato dall’arricchire un ricco per fare un sacco di roba. Tipo fare attività fisica, studiare, leggere…. no, non è vero, poltrisco sul divano e dimentico progressivamente i basilari concetti di “lavarsi”, “farsi la barba” e “indossare le mutande”.
Al termine di questo periodo credo che sarò un perfetto Visigoto pronto per assaltare Roma.

Ma siccome “fatti non foste a viver come bruti”, io mi ergo a paladino della cultura dell’intera umanità e mi sacrifico nella visione di film e lettura di opere letterarie. Essendo il panorama letterario piuttosto scadente, mi dedico ai film, che almeno non mi fanno addormentare dopo 10 pagine. Soprattutto perché i film non hanno pagine.
Sarà per questo, credo.

Oggi guardo “Interstellar”, un film del 2014 di cui non mi frega niente se ha vinto premi, tanto lo sappiamo che i premi letterari e cinematografici sono comprati dal primo all’ultimo.

La storia

C’è un tizio ex astronauta stracazzutissimo che si è ridotto a fare il contadino perché la Terra è uno schifo in cui non si mangia più niente tranne il mais che è l’unica pianta che riesce a crescere ancora in quello schifo polveroso che è diventato il pianeta.
Tralasciamo il fatto che ogni tanto il tizio in questione si scoli una birra in bottiglia o mangi della carne in scatola, probabilmente sono cose che capitano quando un regista si dimentica l’ambientazione che lui stesso ha creato.

Succede.

La figlia del tizio riceve dei messaggi da quello che lei crede essere un fantasma. Le si rovesciano i libri, le appaiono strani codici. È chiaramente una psicopatica, il padre le vuole bene lo stesso e questo ci introduce alla trama vera e propria del film dopo “soli” 45 minuti senza farci addormentare. Diciamo che ci lascia con un occhio aperto e questo fa sì che riusciremo a riprenderci quando, finalmente, succederà qualcosa.

Il “qualcosa” è una missione per salvare l’intera umanità a costo di abbandonare i due figli e rischiare di non tornare più.

Il protagonista è un super astronauta, la NASA vuole solo lui e lui pensa bene di accettare di salvare il mondo senza nemmeno negoziare uno stipendio con tanto di mantenimento dei suoi figli che tanto voleva salvare. Lui parte e va via.
A posto così, fra lacrime e commozione.

Il protagonista era un super astronauta prima, resta un superastronauta durante e si ritrova superastronauta anche dopo, quando comunica con la figlia tramite strani codici lungo paradossi temporali (il fantasma era lui che comunicava dal futuro).

Quindi il protagonista non ha nessun cambiamento, nessuno sforzo interiore per combinare qualcosa di diverso, deve solo procedere con la missione, menare gente, far esplodere roba e litigare con un robot.

Detto così sembra “Spaceballs”. Solo che non fa ridere.

La figlia raccoglie i messaggi del padre dal futuro e salva l’umanità. Se ne è valsa la pena, ce lo dirà Interstellar 2 in cui probabilmente la stessa razza umana avrà mandato a puttane anche il secondo pianeta su cui si sono stabiliti.

E poi ci lamentiamo dei virus…

C’è tutta una trama basata sui paradossi temporali, i paradossi dei gemelli, relatività, spazio e tempo… E basta. Non c’è altro.

Tutta la storia si fonda sul conflitto esterno, ovvero su quello che accade intorno al personaggio che rischia la pelle ogni due minuti (provate ad aprire un portellone di una nave spaziale senza cagarvi addosso…).
Internamente al protagonista non succede proprio un bel niente. Lui non cambia, non ha niente da risolvere. Stava da schifo prima e sta da schifo dopo. Sempre uguale. È solo un soldato che esegue una missione, ha lo stesso spessore del robot che accompagna la missione, niente di più, niente di meno.
Almeno il robot aveva “senso dell’umorismo al 70%”.

Sarebbe un romanzo da schifo, ma viene fuori un film decente perché almeno c’è tutta quella roba “arrovella cervello” che piace tanto e che va tanto di moda. Oltre a roba che esplode e robot col senso dell’umorismo.

E quindi, vale la pena spendere 2 ore e 48 minuti per questo film?

Da un punto di vista oggettivo… NO!

Storia arrovellata, ma del protagonista a noi non frega assolutamente niente. Se fosse morto dopo 5 minuti la trama sarebbe andata avanti ugualmente, lui è solo un “arnese” che fa funzionare l’astronave. È un personaggio che manca di spessore, serve solo a farci arrivare alla fine. Serve solo a guidare l’atronave dove noi vogliamo che arrivi. (in modo che il film finisca prima).

Da un punto di vista soggettivo… Sì.
Ma solo perché mi piacciono i film in cui la trama si incasina e si attorciglia su se stessa.
Dire che “mi piace” credo che non sia un buon motivo per dire che un film è bello.

Bo?

Apollo 13, con il super capitano sempre bravissimo, non vi ha davvero insegnato niente?

1 commento su “Interstellar, la recensione onesta”

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