I colori

«Dobbiamo parlare»

«Eh? Cosa?» mi chiede lei spaesata.

«Sì, dobbiamo.»

«Solitamente siamo noi donne a dire questa frase.»

«Oggi la dico io.»

«Ok, nessun problema.» Si siede lentamente.

«Non voglio dire che io all’improvviso manchi di virilità e abbia deciso di cambiare sesso o cose del genere in nome di chissà quale idea strana che mi è venuta in mente, e nemmeno è il caso di affermare che io non sia più quello di una volta, sai benissimo che io preferisco essere sempre quello di una volta e che mi piace molto che le cose siano sempre e solo come una volta.»

Lei avvicina la mano verso un paio di forbici sul tavolo. «Dimmi, tranquillo.»

«Ecco, vedi, io sono quello di prima, e ci tengo all’equilibrio delle cose e che tutto funzioni bene. Mi capisci, vero?»

«Perfettamente. Certo… certo.»

«Benissimo. Quindi capirai che quella cosa lì, i colori, le tue tempere, i tubetti. Vedi, no?»

«I miei colori?» Si gira verso la sua scatola di colori appoggiata sul tavolo, «questi colori?»

«Proprio loro. Vedi che capisci? Ecco, è facile, no?»

«Cosa, di preciso?»

«Non te ne rendi conto? Guarda bene. Dai. Così non si può andare avanti, proprio no. No, no, no. A me sta bene che tu sia un’artista, io sono felice che tu ti esprima, che tu faccia la pittrice, la disegnatrice o tutta quella roba con la vernice, la pittura, la tempera, le tele e una quantità smodata di acqua. Sei anche brava, anzi, sono davvero convinto che un giorno vincerai il premio Nobel…»

«Non esiste il premio Nobel per l’arte.»

«Magari ne verrà creato uno appositamente per te, quegli svedesi possono farlo, sai? Possono fare tutto, loro. Sono sempre sorridenti, sempre così biondi. Come fanno ad essere così biondi, secondo te?»

«Nascono così, credo.»

«Ah sì, bella scusa. E con quella scusa possono inventare premi Nobel per tutti. E con questo non voglio dire che tu non te lo meriti, eh!»

«Non faranno un premio Nobel per me, né uno per l’arte.»

«Va bene, va bene. Per ora no, niente Nobel. Ma il problema è un altro, un altro genere, altra storia, guarda, una roba incredibile.»

«E infatti inizio a non credere a molte cose.»

«I colori.»

«I miei colori?»

«I tuoi colori.»

«I miei colori, dunque.»

«Proprio loro. Capito?»

«No.»

«Non sono in ordine.»

«Non sono… cosa?»

«In ordine.»

«Ah.» Si gira verso la scatola.

«Guarda bene, ecco, vedi, per esempio quello lì, il blu oltremare.»

«Il blu oltremare?»

«Non deve stare dopo il blu pavone, viene prima. E questo è solo un esempio.»

«Il blu… pavone?»

«Sì, è solo un esempio. E il verde cinabro cosa ci fa vicino al ciano? Ecco, guarda tu stessa.»

«Ne possiamo parlare con calma. Magari quella mia amica che ha lo studio medico…»

«No, no, non la chiamare! Basta sistemare le cose. Tutto qui.»

«Tipo così.» Gira un tubetto al contrario.

«Oh, no! Il tappo va verso l’interno, altrimenti poi…»

«Cosa?»

«No, ecco, vedi, poi la voce…»

«Voce?»

«Niente. Tappo. Dall’altra parte.»

«E se io…» gira un rosso e inverte il bianco con il giallo ocra, «facessi così?»

«Non è colpa mia. Ma no, non va bene così. Mettili a posto che poi la voce…»

«Chi?»

«Nessuno, dai metti i colori dove devono stare.»

«Non ho capito chi…»

«Dice che non va bene.»

«Ora basta.» Si alza ed esce di casa sbattendo la porta.

Mi alzo, apro la porta, urlo, «tanto non lo vincerai mai il Nobel!»

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